Il nostro territorio

Un immaginario volo di Icaro nelle antichità mitologiche, posto che prima dello schianto si fosse avventurato da Creta fino alle Prealpi carniche dove si estende l’antica Pieve d’Asio, avrebbe sorvolato un territorio non molto diverso dall’attuale.
Tra ampi solchi ghiaiosi di fiumi, il Tagliamento a est e il Meduna e il Cellina a ovest, una serie di corrugazioni coperte da un fitto manto boscoso, incise da strette valli percorse da torrenti e rii incostanti, ora tumultuosi ora soggetti a secche prolungate, si spinge a nord fino a cime più elevate, scabre nei mesi estivi e coperte da strati nevosi dall’autunno inoltrato in poi, mentre a sud si affaccia su un’ampia pianura alluvionale che finisce alle spiagge sabbiose dell’Adriatico
Scendendo di quota, Icaro avrebbe sorvolato la massa del Monte Pala tra la gobba del Monte Turìet (o Ciaurlèc) e le ondulazioni boscose che giungono ai declivi del Monte Corona e del Monte Asio.
Oltre la profonda incisione scavata dal torrente Cosa, con strette gole di rocce levigate dove si aprono grotte di profondità inesplorata, le propaggini meridionali del Pala avrebbero mostrato le loro caratteristiche specifiche: pendii ripidi e piccoli altipiani ondulati fino alla fossa dell’Arzino sassoso a est.
Lasciamo Icaro per seguire la linea del tempo. Già nel paleolitico qui giunsero uomini dediti alla caccia e alla raccolta, che trovarono rifugio nelle grotte da cui avevano probabilmente cacciato gli ultimi esemplari di ursus spelaeus. Qui si fermò anche l’Homo sapiens e, dopo l’abbandono seguito alla grande glaciazione, popolazioni in transito (cacciatori, pastori, gente in cammino per vari motivi) nell’età del bronzo, nei secoli di Roma fino all’epoca altomedievale. È probabile che la vasta centuriazione romana partita da Aquileia, con l’apertura di tutta la pianura alle coltivazioni del grano e della vite attorno a innumerevoli ville, abbia attirato la popolazione verso sud: non sono infatti emerse finora testimonianze di insediamenti successivi al paleolitico, ma solo sporadici resti di ceramiche e un bracciale tardo-antico rinvenuto nella grotta Mainarda a Pradis.
Grotta a Pradis Grotta a Pradis
La prima costruzione di cui si hanno sicure vestigia è la semplice aula della primitiva pieve di San Martino d’Asio, che nella sua prima versione scavata dagli archeologi si può far risalire ai secoli IX-X, epoca carolingia. La sua presenza parla di un primo nucleo, ancora sparuto, di abitatori delle pendici del Monte Asio. Ma già prima erano giunte altre genti, tra cui probabilmente guerrieri longobardi, come paiono indicare i toponimi Anduìns, Pèrt, Rutupièrt e la presenza di santi guerrieri cari a quel popolo, San Martino e San Michele.
Pieve di S. Martino d'Asio Pieve di S. Martino d'Asio
Davanti a loro era un territorio vergine, di tipo carsico, con una copertura fitta di faggi, lecci, aceri, ontani, noccioli e alti fusti di castagni, sotto cui si aprivano piccoli inghiottitoi e affioravano bianche rocce dai bordi taglienti, scavate dalle acque e dai geli invernali. Ovunque torrentelli irregolari e piccoli rii che scaturivano di tra le rocce.
Nei pendii soleggiati, la scure e la roncola aprirono radure via via più ampie per far posto ai prati, su cui pascolavano greggi di pecore e capre e qualche bovino. Radi insediamenti di casupole coperte di strame si insediarono nei punti più soleggiati, da dove lo sguardo si perdeva fino alle tonalità azzurre del mare lontano.
Il lavoro dell’uomo prese a trasformare il territorio e cominciò a circolare la moneta: ne sono state rinvenute di zecche patriarcali, veronesi, veneziane, trevisane, padovane dall’XI secolo in poi. Si moltiplicarono i piccoli borghi in pietra e crebbero alcuni centri più estesi, che ebbero anche le loro chiese. Con l’aumento delle presenze umane, fu sottratto sempre più spazio al bosco, fino a che gli altipiani e i pendii divennero pascoli, e solo sui terreni più impervi o rocciosi resisteva la vegetazione originaria. Ogni stelo d’erba era conteso tra vicini. Nei pendii soleggiati a sud furono piantati anche frutteti rigogliosi e varietà autoctone della vite.
Le pendici del M. Pala ridotte a pascolo, con visibili le linee dei muri a secco, in una foto di qualche anno posteriore alla frana del 1914. Le pendici del M. Pala ridotte a pascolo, con visibili le linee dei muri a secco, in una foto di qualche anno posteriore alla frana del 1914.
Pascoli, piccoli insediamenti, stretti percorsi tra muri a secco furono l’unica, macroscopica trasformazione dello spazio, che toccò il suo picco tra fine Ottocento e inizio Novecento. Allora i numeri eccessivi delle giovani generazioni, e l’industrializzazione in Europa e in America, spinsero a un’emigrazione massiccia. Era un fenomeno di antica data, ma temporaneo, che seguiva il corso delle stagioni: a partire dal primo dopoguerra diventò sempre più definitivo.
Abbandonate le case e i prati, il bosco lentamente riprese il suo dominio sul paesaggio, ricoprendo di nuovo i pascoli e ripristinando l’immagine vista dalle altezze da Icaro. Anche i borghi in pietra sparsi nel territorio, che negli ultimi due-tre secoli avevano riempito piccole radure, videro prima cadere tetti e mura, poi furono invasi dalla selva e infine spesso rovinarono sotto l’urto tremendo del terremoto. Solo un’enorme cicatrice ha modificato il declivio della montagna, quando una lenta frana rovinosa lambì l’abitato di Clauzetto nel 1914.
La frana di Clauzetto del 1914. La frana di Clauzetto del 1914.
È questo paesaggio di verde incontaminato e di muri di antiche case che trova il visitatore percorrendo le serpentine delle strade carrozzabili costruite a partire dall’ultimo quarto dell’Ottocento. Dopo il terremoto, molte case sono state restaurate, altre ricostruite o costruite ex novo. I molti chilometri di percorsi che un tempo collegavano tutto il territorio, con i loro i muretti a secco e i fondi selciati tra faggete e prati, vengono un poco alla volta ripuliti e permettono di entrare nel fondo dei paesaggi.
Chi viene qui rivive così un’esperienza quasi primigenia, se distoglie gli occhi da poche superfetazioni di una modernità poco in armonia con i luoghi e la storia: una natura pressoché intatta, di boschi, prati, rocce, acque cristalline; quiete e aria pura, balsami per la salute; architetture spontanee di sorprendente armonia; pochi ma suggestivi luoghi di arte; paesaggi sconfinati fin dove la vista può arrivare.
E basta fermarsi a parlare con qualcuno degli schivi abitanti del luogo per sentire storie straordinarie di personaggi, di fatiche, guerre, viaggi, migrazioni, gioie e tragedie, tutte passate di qui.
Di ritorno da messa con il vestito della festa. Di ritorno da messa con il vestito della festa.